“Gli insonni non dormono perché si preoccupano, e si preoccupano perché non dormono.”

Franklin Pierce Adams

Tutti ogni tanto abbiamo qualche notte insonne

Tutti noi facciamo ogni tanto esperienza di una cattiva notte di sonno. Per alcune situazioni la perdita di sonno può essere funzionale, per es. per tenere uno stato di allerta sotto esame oppure per accudire un bimbo piccolo.
Tuttavia, il sonno è anche un importante regolatore del nostro funzionamento biologico, comportamentale ed emozionale. La maggior parte delle persone sono in grado di recuperare in tempi relativamente brevi.

Quando diventa problematico? 

Per alcuni di noi le difficoltà di sonno non terminano nel momento in cui l‘evento stressante non è più presente o si è in qualche modo stabilizzato. In questi casi, le difficoltà tendono a stabilizzarsi e cronicizzarsi attraverso l‘instaurarsi di comportamenti e credenze non funzionali legate al sonno stesso o meglio alla mancanza di sonno.

Questo accade più spesso nelle persone che tendono con più facilità a fare esperienza di notti insonni in risposta alle situazioni stressanti. Questa tendenza deriva sia da predisposizioni genetiche e caratteristiche fisiologiche individuali, sia da apprendimenti, in particolare quelli precoci.

Cos’è l’insonnia?

L’insonnia è un disturbo del sonno caratterizzato da una reiterata difficoltà di inizio, durata, mantenimento o qualità del sonno. Si tratta di un disturbo molto diffuso, che interessa circa il 30% della popolazione (e il 50% degli over 50). Soffrono di insonnia soprattutto le donne e gli anziani ed è un fattore di rischio per disturbi mentali e fisici.

Il disturbo è presente nonostante l’opportunità di ottenere condizioni e quantità adeguate di sonno e determina una serie di conseguenze diurne negative. Infatti possiamo considerare l‘insonnia non solo come un problema di notte ma anche di giorno e i sintomi diurni sono in genere il motivo di maggiore sofferenza per i pazienti e la ragione che li spinge a chiedere aiuto.

I più frequenti sintomi diurni sono:

  • Sensazione di maggiore fatica;
  • Stress;
  • Dolori fisici;
  • Ridotta produttività al lavoro;
  • Numero più alto di incidenti sul lavoro e alla guida;
  • Compromesso funzionamento sociale e relazionale.

Ci sono inoltre dei criteri per considerare la difficoltà di addormentamento o la qualità del sonno che permettono di capire se si sta effettivamente soffrendo di insonnia:

  • Quando ad addormentarsi ci si impiega regolarmente più di 30 minuti;
  • Quando il risveglio precoce anticipa l’orario di più di 30 minuti;
  • Quando il disturbo del sonno si presenta per 3 o più notti a settimana e dura per 6 mesi o più.

Insonnia come sintomo o disturbo indipendente?

L’insonnia si definisce ‘primaria’ quando si presenta come forma indipendente e autonoma e i sintomi tendono a persistere dopo un trattamento efficace per il disturbo “primario“ coesistente; mentre è detta ‘secondaria’ se è conseguenza di un’altra condizione medica o psichiatrica.

Alcune ricerche hanno riscontrato che in soggetti affetti da disturbi dell’umore, l’insonnia si caratterizza più spesso come difficoltà di addormentamento, risvegli frequenti durante la notte e difficoltà a prendere nuovamente sonno dopo risvegli precoci al mattino (Nowell e Buysse, 2001). Nel disturbo di ansia generalizzata invece è prevalente una difficoltà a dormire in maniera continuativa, mentre in genere non è presente una difficoltà a prendere sonno (Monti, J. e Monti, D. 2000).

Chi soffre di insonnia inoltre va incontro a più elevati livelli di ansia e depressione, tanto che l’insonnia può essere considerata un fattore di rischio per lo sviluppo di disturbi psichiatrici.

Il modello delle 3P per spiegare come si instaura il disturbo di insonnia

Un modello che ci aiuta a comprendere meglio quali sono i fattori che concorrono all’esordio e al mantenimento dell’insonnia è il cosiddetto modello a “3 P”. Le 3 P indicano i fattori Predisponenti, i fattori Precipitanti e i fattori Perpetuanti.

Per fattori predisponenti si intendono tutte quelle caratteristiche genetiche e caratteriali che aumentano il rischio di sviluppare un’insonnia. Esiste una componente genetica che può incrementare il rischio dell’esordio andando a condizionare i meccanismi biologici alla base del sonno e della veglia. Alcune caratteristiche della personalità come la tendenza a rimuginare ed al perfezionismo inoltre renderebbero più probabile soffrire di insonnia nell’arco della vita.

Per fattori precipitanti si intendono quegli eventi di vita stressanti che porterebbero da soli a periodi caratterizzati da una cattiva qualità del sonno come licenziamenti, divorzi, lutti o malattie. Questi però danno ragione solo di un periodo di insonnia limitato, che non è detto continui nel tempo.

Ciò che mantiene l’insonnia e la cronicizza sono invece i fattori perpetuanti. Nello specifico possono essere cognizioni/credenze disfunzionali relative al sonno e abitudini disadattive, ad esempio andare a letto prima per aver più tempo per addormentarsi o alzarsi più tardi per recuperare il sonno perduto. La prima diventa disadattiva perché in assenza di sonno porta a far vivere il letto come un luogo sgradevole e ansiogeno che scoraggia ulteriormente l’inizio del sonno. La seconda è considerata disadattiva perchè se da una parte compensa sicuramente il sonno di quella notte, dall’altra rende anche più difficile addormentarsi la notte dopo dato che è passato meno tempo dal risveglio.

Questa immagine ci aiuta a comprendere come funzionano i fattori perpetuanti. Le cognizioni disfunzionali e le abitudini disadattive alimentano conseguenze negative che, a loro volta, portano ad un’attivazione emotiva, cognitiva e fisiologica. Ogni “pezzo” di questo circolo vizioso è a sua volta causa e conseguenza del problema stesso.

Il trattamento cognitivo comportamentale per il disturbo di insonnia 

La terapia cognitivo comportamentale per l’insonnia (CBT-I) è riconosciuta come intervento di prima scelta per il trattamento dell’insonnia e numerose meta-analisi supportano la sua efficacia.

La prima fase del trattamento prevede un’iniziale psicoeducazione. Si aiuta dunque la persona a comprendere quali sono i fattori che possono influenzare il sonno e mantenere l’insonnia. Vengono date anche informazioni di base sul sonno, su come evolve nel corso della vita e quali sono le regole di igiene del sonno per migliorarne la qualità.

Dopo questa prima fase si passa alle tecniche cognitive e comportamentali. Le prime vertono su tecniche di ristrutturazione dei pensieri disfunzionali legati al sonno; mentre le seconde vertono a rafforzare le associazioni tra il letto e il momento di andare a dormire.

Per concludere …

Il sonno è fondamentale per la qualità della nostra vita, quando dormiamo poco e male, ne risentiamo in modo sostanziale: riusciamo a concentrarci meno, i compiti quotidiani sembrano più complessi, siamo più vulnerabili emotivamente e la produttività al lavoro/scuola viene compromessa. Intervenire risulta quindi fondamentale sia con l’introduzione di sane e buone abitudini sia un intervento cognitivo-comportamentale.

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